kawasaki 500
“Chiunque abbia a cuore l’economia, la sicurezza e l’ambiente non deve avere nulla a che fare con la Kawasaki 500”
Più o meno così iniziava l’articolo di una famosa rivista inglese concernente la prova della Mach III nella primavera del 1969.
I primi mesi di quell’anno avevano presentato 3 eventi storici per quanto riguarda i mezzi di trasporto. Infatti il 9 febbraio aveva effettuato il primo volo il Boeing 747 Jumbo Jet mentre il 2 marzo aveva solcato i cieli per la prima volta il Concorde. Negli stessi giorni giungevano nelle concessionarie i primi esemplari della Kawasaki 500 Mach 3.
I parametri abituali dei mezzi di trasporto erano stati decisamente stravolti.
Infatti se, fino a pochi mesi prima, non era concepibile trasportare 450 persone su un solo aereoplano o portarne in giro un centinaio a più del doppio della velocità del suono era altrettanto inconcepibile veder girare per strada una moto dotata di quelle caratteristiche.
Presentata al salone di Tokyo del 1968 aveva condiviso le luci della ribalta con la Honda 750 Four. Ma mentre quest’ultima rappresentasse la moto perfetta ed in ultima analisi l’anello di congiunzione fra le vecchie e le nuove moto.Infatti motori a 4 cilindri, freno a disco, avviamento elettrico si erano gia visti(anche se non tutti insieme e soprattutto non funzionanti bene come sulla Four) la sorpresa che destò la 3 cilindri di Akashi fu dovute soprattutto alle prestazioni mostruose.
Bellissima nella sua livrea bianca (peacock white) con striscia blu e dotata di un suono entusiasmante la mezzo litro era quasi 20Km/h più veloce della Honda oltre ad avere una accelerazione fulminante... a patto di non farsi fulminare da lei!
Se si pensa che le moto più performanti che offriva il mercato italiano erano la Benelli 250 o l’Aermacchi Ala d’oro si capisce che l’arrivo di un mezzo che in prima andava come le due mono che stavano tirando la terza ha rappresentato uno choc anche per i motociclisti più scafati.
Aggiungendo che era la prima moto dotata di stampella laterale senza dispositivi di sicurezza o ripiegamento automatico, che la forcella aveva degli steli così esili che facevano paura a guardarli e che il modesto (per la prima frenata, inesistente dopo) tamburo anteriore non potevano contenere la furia dei 60 cavalli sprigionati da un motore appoggiato ad un telaio di gomma con ammotizzatori da Luna Park, che il freno motore era inesistente e che il cambio aveva il folle in basso, si capisce che la sigla Mach 3 fu subito sostituita da “La Bara”.
Si consideri che la Kawasaki mise in vendita anche una versione (H1R) dedicata ai privati che si volessero cimantare nel Motomondiale. Ebbene questa moto acquistabile dai concessionari vinse con il compianto Dave Simmonds un GP nel 1971, non risultando solo per pochi giorni come il primo 2 tempi a vincere un Gran Premio della classe regina, preceduta solo dal motore della Suzuki Titan che montato sul telaio Jada avava stabilito questo primato. Da precisare comunque che in entrambe i casi Agostini e la MV erano assenti.
L’evoluzione della Mach 3 vede per il 1970 solo modifiche di poco conto al motore e la comparsa delle colorazioni rosso e nero.
Nel 1971 la H1A cambia forma delle sovrastrutture ed è solo azzurra.
La prima grossa novità è, nel 1972, la comparsa del freno a disco sulla H1B (arancione)che riprende come estetica le nuove Kawasaki 350 e 750.
Dopo qualche esemplare di H1C (una B con il motore della A ed il freno a tamburo), comunque non importata in Italia nel 1973 la H1D (verde o rossa) vede il telaio ridisegnato, il forcellone più lungo ed una forcella degna di questo nome. La moto perde un pò del carattere selvaggio della prima serie ma pùr rimanendo entusiasmante riesce anche ad essere utilizzabile per una passeggiata senza doversi portare un chilo di candele in tasca.
Per la H1E del 1974 l’estetica rimane la stessa e sono alcuni particolari del motore a variare (valvoline di non ritorno nei carter pompa per l’olio, particolari delle centraline di accensione etc.) e questa serie rimane in produzione anche nel 1975.
Per il biennio 1976/7 la H1F presenta nuovi colori, bronzo o blu, ed ulteriori affinamenti della meccanica; ma ormai la campana del motore 2 tempi suona a morto. Infatti l’ultima versione (KH500, del 1978) aveva perso per strada quasi una decina di cavalli. Era diventata una moto elastica e godibilissima ma ormai il mondo era del 4 tempi e le prestazioni di riferimento erano sempre Kawasaki ma si chiamavano Z900 ! Ma questa è un altra storia.
Per concludere posso affermare che la Kawasaki 500, vista con gli occhi di oggi ha un terzo o meno della potenza delle moderne superbike ma per gli appassionati della guida offre ancora delle sensazioni che ne fanno una moto entusiasmante da guidare se quello che si cerca non è la prestazione assoluta o la staccata con la forcella a pacco, ma una trasmissione di emozioni che passano attraverso le vibrazioni ed il rumore che accompagna la tua uscita.
Emozioni che si provano anche apprezzando la notevolissima qualità costruttiva della moto, anche a distanza di decenni. Pensate che le cromature della mia H1D sono quelle originali del 1973 nonostante sia stata parcheggiata all’ aperto per parecchi anni prima che la incontrassi! Da sfatare anche la leggenda metropolitana del grippaggio del cilindro centrale. Non è mai stato un problema per le Kawa, mentre lo ha rappresentato per altre tricilindriche del tempo dotate per questo motivo di convogliatori d’aria a scopo raffreddamento. Sulla robustezza e qualità costruttiva della moto basti vedere quante ne sono sopravvissute fino ai giorni d’oggi ed invece quante sono le suzuki GT 380/550/750 che ancora girano.
Marco T.
![]() kawasaki 500 H1 del 1969 |
kawasaki 500 mach III H1D del 1974 |
![]() un esemplare perfettamente conservato della mach III del 1973 |
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