Honda VF 400 F
Dopo avere creato una moto per il mercato americano che si chiamava Vf750s (In USA si chiamava Sabre) e che anticipava l’impostazione della Yamaha Vmax la casa dell’ala dorata capì che da quel motore a V di 90° se ne poteva trarre anche una versione sportiva .
Nata nel 1982 ed importata in Italia a partire dall’anno seguente la VF750F aveva una sorellina di 400cc, come spesso accade in Giappone dove, per rispettare le varie categorie delle patenti moto, lo stesso motociclo viene sempre proposto in versione miniaturizzata di 400cc ed in alcuni casi, per i modelli di maggire successo commerciale, anche di 250cc.
La piccola VF400F era però piccola solo nella cilindrata mentre i contenuti tecnici erano da moto grande. Infatti 4 cilindri a V, doppio albero a camme in testa ( che viste le due bancate fa 4 alberi), 16 valvole, cambio a 6 marce sono gli elementi che contraddistinguono questo propulsore che sviluppa la potenza di 55,5 cavalli (138 CV/litro) a 12500 giri! La coppia massima viene sviluppata a 10000 giri: nonostante questi numeri il motore non è affatto scorbutico, anzi permette anche di andare in giro con un filo di gas. L’ingresso in coppia si avverte non con un calcio nella schiena come accade sui due tempi ma con una diversa velocità nel prendere i giri, che diventa fulminea, ed in corrispondenza della quale anche ll rumore caratteristicamente rauco dei motori V4 diventa un sibilo entusiasmante.
Il telaio a doppia culla d’alluminio ha una buona rigidità e delle quote ciclistiche che prediligono l’impostazione sportiva e con grande maneggevolezza. Infatti la moto è un piacere da guidare. Sul veloce si nota un comportamento molto reattivo, dovuto anche alla ruota anteriore da 16, praticamente un obbligo per le moto di quegli anni.
Nonostante questo l’assetto è moderatamente caricato sul davanti consentendo anche di usare la moto in modalità turistica senza stancarsi. A questo contribiusce anche la sella con la sua leggera inclinazione ma che essendo lunga consente una buona abitabilità al passeggero.
Le ruote sono le famose Comstar 2 della Honda abbinate ai freni inboard disc: nessuna delle due invenzioni ha lasciato una traccia mirabile nella storia motociclistica. La frenata infatti sebbene sia perfettamente modulabile ed in fondo priva di difetti, non sorprende per la potenza, cosa che considerate le gomme dell’epoca almeno mette al riparo da antipatici bloccaggi.
Il consumo con tutto questo ben di Dio di meccanica non è sorprendentemente elevato a meno di insistere col gas, cosa che la rende assetata quanto una moderna CB 1300. Se poi si strippa il motore per lungo tempo (come nell’uscita di Ottobre) allora il pieno non è neanche sufficiente per tornare a casa.
La manutenzione a causa dell’architettura e della miniaturizzazione del motore è roba da meccanici specialistici, anche per il solo cambio delle candele.
Marco T.
|
|